sabato 6 settembre 2008

Felice De Martino, uno scrittore, una leggenda




Intervista esclusiva realizzata il 6 Settembre 2008 da Ilaria Solazzo a Felice De Martino per ‘castzine’.


Felice De Martino è nato nel 1949 a Montesano sulla Marcellana in provincia di Salerno.
Basilisco di nascita, indole e “costumi”, formatosi molto a Napoli e un po’ a Roma, vive attualmente a Pontecagnano, (Salerno), con la moglie Lina ed ha una figlia di 26 anni, Silvia psicologa a Roma. Architetto, dirigente pubblico in pensione, già Direttore Generale dell’ERSAC, pubblica la sua opera prima nel 1995: ‘La Repubblica dei gigli bianchi’, editore Tullio Pironti. Ha scritto altri tre romanzi: “Punta Licosa”, anno 2002, editore Guida; “La breve stagione del galantuomo”, anno 2004, Marte Editori; “La buona sorte”, anno 2007, Editore Tullio Pironti. Ha pubblicato inoltre raccolte di scritti, saggi e poesie: “Istante di cielo”, anno 1998, Boccia Editori; “La casa di pietra”, anno 2003, Marte Editori; “Emigrazioni, il progetto Colombo”, anno 1997, Electa Editori Napoli.


D. Il momento determinante nel passaggio da dirigente pubblico a scrittore?
R. Non vi è stato nessun passaggio. Scrivere è stato sempre parte di me.
Dedicavo il tempo libero alla scrittura o la breve vacanza dai problemi del lavoro. Attività parallela, forse il mio rifugiarmi.
D. Quando ha cominciato a scrivere? Cosa l’ha spinto a farlo?
R. Da ragazzo, l’amore innocente, i primi dibattiti dell’animo, si inizia sempre così.
D. Come giudica il suo stile narrativo?
R. Non lo giudico. Aumenterebbe il disinganno.
D. Cosa rappresenta per lei il tempo storico?
R. Il sito della mia memoria. E’ un “andarvi” strano, timoroso.
Legato agli spazi ed ai materiali dell’inconscio che plasmano l’effetto.
Il tutto è condizionato dal fatto di essere anche Architetto.
Spazio-tempo, d’altronde, è il tema di un mio libro di scritti e poesie, edito nel 2003: “La casa di pietra”…una esigenza quasi schizzofrenica di immaginare il passato senza condizionarlo con orizzonti obbligati.
D. Il luogo più strano in cui ha scritto?
R. Ad un semaforo, a Napoli, fermo in macchina. Nessuno protestò o bussò il clacson.
Mi affiancò poi una Panda, la guidatrice mi sorrise. Mi colpì il suo sguardo. Le dedicai una poesia: “Le Aurore di Saturno”. Non l’ho più vista e lei non sa nulla.
Davvero una stupenda aurora, eterea, dissoltasi senza “annunciare” nulla di terreno.
D. Che difficoltà ha incontrato prima di pubblicare i suoi lavori?
R. Molte. Pubblicare però è una questione di risorse e spesso chi è molto bravo a scrivere non le ha.
Gli assessorati alla cultura, nel loro complesso, dovrebbero aiutare gli autori meritevoli, ma sconosciuti.
Di solito si da una mano, anzi due, a quelli già affermati. Si punta sul sicuro ed il circuito è intasato sempre dagli stessi.
Non a caso in Italia il 97% degli scrittori vendono meno di tre copie mentre il restante 3% sono miliardari!
D. C’è un libro da lei ideato a cui è maggiormente legato? Perché?
R. Si: “Istante di cielo”, un libro di poesie, pubblicato nel 1998.
E’ il più sincero. Allora ero ancora terribilmente innamorato della vita, oggi purtroppo le voglio “solo” bene.
D. Che rapporto ha con la critica? E con i suoi fans?
R. I critici comprendono la mia senilità avanzata, cercano di non farmi troppo male.
La verità è che io vivo bene anche senza il loro applauso.
Io non ho fans, ma solo lettori, spesso al loro primo libro.
Qualcuno anni fa mi ‘ringraziò’, dicendo: “Potevo incontrarla prima, avrei letto molto di più”. E’ uno degli episodi accadutomi che ricordo volentieri e che mi inorgoglisce.
D. Da bimbo qual è il primo libro che ha letto?
R. I ragazzi della via Paal.
D. Un classico che ancora non ha letto?
R. Troppi.
D. C’è un libro che porterà sempre con sé?
R. “Chiedi alla polvere” di J. Fante, libro straordinario…prosa secca, incalzante, parole come raffiche di pallottole.
L’autore se non avesse scritto sarebbe sicuramente diventato un killer.
Una rabbia esistenziale incanalata in modo intelligente.
Sono invidioso di Lui per la forza del suo scrivere e la naturalezza del linguaggio…diretto, esplicativo, mai banale.
Una frase di J. Fante vale un libro intero di molti pseudo “scrittori”.
D. Puoi svelarmi il titolo di un romanzo che non leggerà mai?
R. Domanda straordinaria, letteralmente cult, da grande giornalista…che mi ha convinto a concederle questa intervista, altrimenti, debbo confessarle, molto fredda e metallica. La sua domanda mi ha ispirato una trama, una mia prossima trama letteraria. Il titolo che lei mi chiede sarà quello di un romanzo che io scriverò partendo proprio dalla sua domanda.
D. La sua citazione preferita è?
R. Non mi piacciono le citazioni.
D. Cosa la irritava da bambino e cosa la irrita oggi in chi la circonda?
R. Da bambino non essere al centro dell’attenzione. Oggi è il giusto contrario.
D. Ha svolto una serie di attività…la sua biografia informa; ma in quale di queste diverse attività ha percepito maggiore verità?
R. Non certamente da quella di scrittore che di fatto è un rifugio, un antidoto dai veleni della realtà. Un astrarsi che consente fughe dal giornaliero.
Lo scrittore può scegliersi la vita da raccontare, ma non quella da vivere.
D. Essere uno scrittore come lo è lei, svolgendo con serietà e passione le azioni di questa professione, oggi è ancora possibile in una nazione come in Italia? Qual è il rischio che si corre mettendo a nudo i propri pensieri?
R. Oggi in Italia noi “scrittori” abbiamo il dovere civico di raccontare le verità, ancorchè quelle spiacevoli.
Io l’ho fatto con tutti i miei scritti, in particolare con il romanzo, edito nel 2003: “La breve stagione del galantuomo”.
Il libro narra della proditoria uccisione, ai tempi della Repubblica napoletana nel 1799, del primo “Sindaco” democratico del mio paese di nascita.
Lo sventurato, dopo essere stato decapitato, venne mangiato dalla popolazione.
Era un tema difficile, scabroso, mai affrontato nelle parti più inquietanti.
Io ritenni di farlo, attirandomi in un primo momento le ‘critiche’ dei cosiddetti benpensanti, ma poi i lettori mi hanno dato ragione, comprando il libro e aprendo dibattiti per ‘esorcizzare’ l’avvenimento.
Oggi, dopo cinque anni, è un tema di cui si parla liberamente e senza complessi.
Conto di farlo per altri ‘misfatti’. La storia del Sud ne è piena. Circa il rischio, poi, che si correrebbe nel mettere a nudo i propri pensieri sono convinto che il vero rischio è invece quello di non metterli.
La paura di ‘farlo’ avvicina la conformità, determina l’assemblaggio preventivo delle idee e spesso favorisce le dittature.
D.Cosa consiglia agli scrittori esordienti che credono nel loro libro, ma non riescono a trovare un editore che lo pubblichi?
R. Insistere, insistere, insistere e poi oggi si può pubblicare anche in internet...c’è un sito ad hoc.
D. Quando ci si espone, in qualunque campo, si è soggetti a critiche. Uno scrittore che è ancora alle prime pubblicazioni quale atteggiamento, a suo parere, deve assumere per non arrendersi?
R. Deve credere fermamente in quello che ha intenzione di scrivere.
Non deve aver paura di niente, altrimenti è meglio che smetta.
Io ho dovuto in più di un occasione difendermi in tribunale insieme agli editori.
Scrivere è un mestiere spesso difficile, ma lei ne trova uno altrettanto affascinante?
D. Quale caratteristica interiore, profonda, la colpisce nella gente?
R. Troppo vasta e complessa l’umanità per tentare una sintesi.
Direi forse la paura di morire che in molti è superiore alla voglia di vivere.
D. Se potesse scegliere, con quale scrittore del passato le piacerebbe collaborare? Per quale motivo?
R. Come scrittore con Giovanni Verga, per il legame che lo stesso riesce a mantenere con la sua terra, le sue radici. Un grande siciliano, un vero uomo del Sud.
Come poeta con Giacomo Leopardi. Ha rapito la mia adolescenza con la sua siepe che gli preclude parte dell’Infinito. Spazio e tempo sono fusi nella parola.
Poesia universale la sua, una sintesi magica di bellezza cosmica.
Leopardi è forse il migliore tra i migliori.
D. C’è una cosa nella quale crede profondamente? Come mai?
R. Più che credere…spero che questo nostro vivere abbia una ragione.
Accetterei anche una fede a costo di rimangiarmi la mia laicità.
Non vorrei che alla fine “il tutto” fosse stato solo un caso, una eccezione nel caos generale. Vorrei tanto un perché…del quale credere!
D. Il passo di una canzone che risuona spesso nella sua mente è?
R. ‘Alta marea’ di Antonello Venditti. C’è nel testo un rapporto intimo tra amore e natura. Carne ed occhi. Sintesi primordiale, ma anche attualissima.
D. Possiamo contare su un nuovo libro per il 2009?
R. Certamente. Lei verrà alla presentazione? Anzi no, mi farà da relatrice.